Il Disturbo da Attacchi di Panico: Conoscerlo per Affrontarlo
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Terrore immotivato, paralisi, senso di soffocamento, paura di morire, senso di estrema solitudine, vulnerabilità, abbandono, ma anche confusione mentale, sensazione di uscire dal proprio corpo, paura di impazzire … queste sono solo alcune delle esperienze riferite nel racconto e nella descrizione di chi ha vissuto una crisi di panico.
Ciò che colpisce chi ascolta il racconto è lo sgomento della persona di fronte a qualcosa di inatteso e inspiegabile: nessuno di coloro che vivono questa esperienza sa individuare le motivazioni di quel terrore e perché si presenta proprio in quel particolare momento dell’esistenza.
Attacchi di panico: cosa li scatena?
In realtà le crisi di panico, a dispetto della loro drammaticità, sono scatenate perlopiù da circostanze di vita ed eventi frutto di una spontanea evoluzione psicologica in atto (un importante cambiamento verso una più armonica realizzazione di sé e della propria personalità) e, come ogni cambiamento o momento di passaggio della vita, si accompagnano spesso ad un’alta attivazione emotiva caratterizzata da angoscia, senso di paura, di insicurezza e vulnerabilità, di cui il soggetto prima della crisi è totalmente inconsapevole.
È proprio questa scarsa consapevolezza emotiva a rendere difficoltoso per la persona collegare le crisi agli eventi della vita che le hanno scatenate. Le cause scatenanti possono presentarsi in varie forme, dalle circostanze di vita negative a quelle desiderabili dal soggetto (ad es. matrimonio, innamoramento, promozione sul lavoro); tutte comunque rimettono in gioco emozioni e vecchi equilibri della personalità.
Attacchi di panico: tratti caratteriali e vissuti
Caratteristica spesso comune a chi sviluppa un disturbo da attacchi di panico è un sentimento non pienamente consapevole di solitudine e vulnerabilità e di sfiducia negli altri, sentiti come inaffidabili, minacciosi, incapaci di sostegno, rifiutanti. La persona sente di essere sola al mondo e di non poter contare sull’aiuto di nessuno.
Di conseguenza, nel corso dell’età evolutiva, è propensa a strutturare strategie di sopravvivenza psicologica caratterizzate principalmente da isolamento e distanza dalle emozioni, allo scopo di evitare angoscia e sentimenti dolorosi e non vivere in un costante senso di insicurezza.
Ipercontrollo emotivo, atteggiamenti di distanza e distacco nelle relazioni sociali e affettive, rimozione e negazione di fragilità e paure, insieme ad un forte e inconsapevole bisogno di contatto, sono gli elementi che caratterizzano queste persone.
Fino al momento del primo attacco esse affrontano il loro senso di estrema vulnerabilità con lo sviluppo di comportamenti improntati all’iperautonomia; affrontano con forza e determinazione le difficoltà dell’esistenza ma tendono a sentirsi estremamente fragili e incapaci nel legame emotivo profondo con gli altri. E infatti, non è raro che le crisi si presentino in conseguenza dell’instaurarsi di nuove e positive relazioni affettive.
Attacchi di panico: il clima familiare di origine
La psicologia ha individuato in un clima parentale caratterizzato da freddezza, incapacità di contatto, distacco emotivo dal bambino, mancanza di empatia e di sostegno, alcune delle cause della predisposizione agli attacchi di panico. I genitori, incapaci di entrare in sintonia con il figlio, hanno grosse difficoltà a riconoscere i suoi bisogni e a comprendere quando e come stimolarlo in modo appropriato nelle varie e diverse fasi del suo processo di crescita; essi non riescono a rispondere in modo adeguato alle necessità collegate al suo processo di maturazione spontanea senza esporlo a traumi o ansie eccessive o, al contrario, senza iperproteggerlo isolandolo dalle necessarie esperienze maturative.
Il bambino vive la sua naturale e fisiologica vulnerabilità privato della presenza di un adulto rassicurante e senza alcun sostegno emotivo, affrontando la vita con un penoso senso interno di fragilità e di inadeguatezza, sviluppando un atteggiamento di chiusura e mancanza di fiducia nei propri simili, dai quali si sente non riconosciuto e non compreso nella sua vulnerabilità e nel suo bisogno di protezione. Ecco che allora il bambino, per affrontare paura e solitudine, adotta la strategia dell’allontanamento e della distanza dalle proprie emozioni, strategia che però fallisce nel momento dell’attacco di panico.
Il momento dell'attacco di panico
Il momento dell’attacco di panico è il momento nel quale le emozioni improvvisamente riescono ad aprirsi un varco nell’ organismo del soggetto con tutta la loro energia e forza. Ciò può accadere in un periodo particolarmente faticoso e stressante, oppure a causa di immagini ed episodi di vita attuale anche insignificanti, ma ricollegabili metaforicamente a vissuti conflittuali o a timori profondi. Una delle immagini scatenanti gli attacchi di panico è, per esempio, quella delle strade dritte, vera e propria rappresentazione visiva delle strettoie emotive e delle scelte obbligate entro cui chi manifesta attacchi di panico imbottigliano la propria vita privandosi, insieme alle emozioni, anche della spontaneità e del calore dell’esistenza.
L’attacco di panico si accompagna ad una forte attivazione fisica, identica a quella di un organismo che si prepara ad attaccare o a fuggire da un pericolo estremo.
Sintomi frequenti sono tachicardia, aumento della pressione sanguigna, sudorazione, iperventilazione, bisogno di fuggire, a volte freezing, ossia la paralisi del corpo temporanea. Il freezing si verifica anche negli animali, quando la fuga dal predatore diviene impossibile: si attiva come reazione ad un forte trauma ed è un’estrema ed automatica reazione di difesa dell’organismo, un tentativo di salvarsi la vita “simulando” la morte.
L’attacco di panico può durare dai 5 ai 20 minuti, non viene sempre riconosciuto come tale e a volte è scambiato con un infarto o un malessere fisico.
Dall'attacco di panico al D.A.P. (Disturbo da Attacchi di Panico)
Non tutti coloro che hanno un attacco di panico sviluppano un D.A.P, Disturbo da Attacchi di Panico; l’episodio infatti può rimanere un episodio singolo. Si parla di D.A.P. quando le crisi diventano frequenti e la persona comincia ad organizzare la propria vita nel tentativo di evitare luoghi e circostanze in cui si sono scatenate, rinunciando alle uscite, alla vita sociale e a volte persino al lavoro. Gli attacchi di panico si accompagnano in questi casi ad un’ansia anticipatoria che diviene una presenza costante nella vita del soggetto.
Quando l’attacco di panico si struttura in un D.A.P. cambia l’oggetto della paura che, se nelle crisi di panico non è individuabile, nel D.A.P. è la paura stessa. L’essenziale da comprendere è che l’incontro improvviso con la paura, per queste persone che hanno difficoltà a sentire le proprie emozioni e a riconoscerle e basano la stima di sé su forza e autonomia, rappresenta un vero e proprio trauma, motivo per cui il D.A.P. può assumere aspetti simili a quelli di un disturbo post-traumatico da stress, cioè un disturbo conseguente ad un evento traumatico reale (ad es. un incidente, una violenza).
Attacchi di panico: come intervenire?
L’attacco di panico si risolve spontaneamente. Una volta iniziato non è possibile bloccarlo con i farmaci. A volte lo si può gestire calmando e rallentando più possibile il respiro: l’ansia infatti induce il soggetto a respirare molto più del necessario e l’iperventilazione può provocare confusione mentale, formicolii, sensazione di svenire e altri sintomi frequenti nelle crisi di panico. Se non si riesce a controllare il ritmo del respiro è possibile diminuire gli effetti dell’iperventilazione respirando in un sacchetto di carta.
Di solito chi ha la prima crisi non comprende immediatamente di cosa si tratta: spesso pensa ad un grave malore e apprende in pronto soccorso di avere avuto un attacco di panico.
È bene a quel punto rivolgersi subito a uno psicologo psicoterapeuta prima che instauri un eventuale disturbo da attacco di panico.
Affinché il disturbo si risolva occorre un percorso psicoterapeutico che lavori su più versanti:
- Sull’esplorazione delle circostanze di vita e degli eventi esterni che hanno determinato la crisi iniziale “slatentizzando “sentimenti di panico e paura prima rimossi.
- Sulla valutazione del ruolo e della funzione che il D.A.P. assume nello specifico momento dell’evoluzione psicologica della persona.
- Sul miglioramento dell’autoregolazione emotiva del soggetto aiutandolo a contattare, conoscere e gestire le emozioni di paura e vulnerabilità.
- Infine sulla creazione di una relazione terapeutica correttiva, empatica ed accogliente nella quale il paziente possa permettersi di esplorare e vivere parti di sé stesso non accolte prima e ricostruire il suo senso di sicurezza.